LA PAROLA AL PARROCO

APOROFOBIA… OVVERO LA PAURA DEI POVERI

“Aporofobìa” è una parola difficile. Non mi risulta sia stata utilizzata in qualche documento della Chiesa. L’ho scoperta, per caso, durante la pandemìa da Coronavirus. Significa, etimologicamente: “paura dei poveri”. Gli “àporoi”, infatti, nella lingua greca antica – da cui deriva la locuzione italiana – sono i miserabili, gli indigenti senza speranza. Dai quali – è la convinzione di chi è angustiato da una simile “fobìa” – conviene stare alla larga… per non essere “contagiati”.

La miseria, infatti, sarebbe una “maledizione pestifera”, spaventosa e insopportabile anche per chi, pur non mancando di risorse materiali, è terrorizzato dal timore di “scadere” nella categoria dei “bisognosi”. Ai quali – italiani o stranieri che siano – vengono imputati tutti, o quasi, i mali della società. Secondo gli studiosi dei movimenti collettivi e gli esperti della psicologia umana l’aporofobìa è un fenomeno in crescita, di livello addirittura mondiale, aggravato dalla crisi economica oltre che dall’allargamento delle fasce di fragilità sociale e di indigenza anche nelle “città del benessere”. Dove “la gente per bene” evita di frequentare persone non abbienti per non “infettarsi” e si vergogna di mostrarsi pubblicamente insieme a chi si porta addosso il terribile virus della povertà. E i responsabili della cosa pubblica arrivano perfino a teorizzare qualche metodo per “sbarazzarsi” di certi miserabili. O, almeno, per nasconderli. Al punto che, talvolta, i poveri stessi, umiliati e disprezzati per la loro esistenza di stenti, cercano, il più possibile, di rendersi invisibili.

La paura della povertà, in effetti, spinge le persone a comportamenti irrazionali e discriminatori, ad atteggiamenti al limite della disumanità. Un’autentica piaga. Anzi, una vera e propria “infezione”. Peggiore del virus che la provoca. Papa Leone, nel messaggio per la “Giornata Mondiale dei Poveri” da celebrarsi in questo ultimo scorcio del Giubileo attribuisce, invece, ai bisognosi che vivono in mezzo a noi un vero e proprio “ministero della speranza”: «Il povero può diventare testimone di una speranza forte e affidabile, proprio perché professata in una condizione di vita precaria, fatta di privazioni, fragilità ed emarginazione. Egli non conta sulle sicurezze del potere e dell’avere; al contrario, le subisce e spesso ne è vittima. La sua speranza può riposare solo altrove. Riconoscendo che Dio è la nostra prima e unica speranza, anche noi compiamo il passaggio tra le speranze effimere e la speranza duratura». E aggiunge: «La povertà ha cause strutturali che devono essere affrontate e rimosse. Mentre ciò avviene, tutti siamo chiamati a creare nuovi segni di speranza che testimoniano la carità cristiana, come fecero molti santi e sante in ogni epoca.

Gli ospedali e le scuole, ad esempio, sono istituzioni create per esprimere l’accoglienza dei più deboli ed emarginati. Essi dovrebbero far parte ormai delle politiche pubbliche di ogni Paese, ma guerre e diseguaglianze spesso ancora lo impediscono. Sempre più, segni di speranza diventano oggi le case-famiglia, le comunità per minori, i centri di ascolto e di accoglienza, le mense per i poveri, i dormitori, le scuole popolari: quanti segni spesso nascosti, ai quali forse non badiamo, eppure così importanti
per scrollarsi di dosso l’indifferenza e provocare all’impegno nelle diverse forme di volontariato!». Nell’elenco dei “più deboli ed emarginati”, secondo il Santo Padre, sono da ascrivere anche i disoccupati, gli stranieri, gli anziani soli, le persone con disabilità, i malati psichiatrici, le madri nubili, i padri separati…

«La Giornata Mondiale dei Poveri – spiega il pontefice – intende ricordare alle nostre Comunità che i poveri sono al centro dell’intera opera pastorale. Non solo del suo aspetto caritativo, ma ugualmente di ciò che la Chiesa celebra e annuncia. Dio ha assunto la loro povertà per renderci ricchi attraverso le loro
voci, le loro storie, i loro volti. Tutte le forme di povertà, nessuna esclusa, sono una chiamata a vivere con concretezza il Vangelo e a offrire segni efficaci di speranza». Insomma, l’antidoto contro l’infezione da aporofobìa è a disposizione da sempre ed è alla portata di tutti, e il Papa ne propone l’assunzione in dosi massicce, combinando tra loro, evangelicamente, solidarietà, compassione e fraternità. Come raccomanda anche nel suo primo (e programmatico) documento magisteriale “Dilexi te – Esortazione Apostolica sull’amore verso i poveri”.

Ultimo aggiornamento: 14 Novembre 2025