LA PAROLA AL PARROCO, 4 Maggio 2025

ANTICHI PATRONI E… NUOVI PADRONI

Nel mese di maggio i Calcesi celebrano, a pochi giorni l’una dall’altra, le figure esemplari di san Gottardo e di san Vittore, ai quali è affidato, da secoli, il duplice “patrocinio” della Comunità: al primo nel suo “profilo” più popolare e civico, al secondo nella sua dimensione strettamente ecclesiale.

Patroni: cioè protettori e intercessori. Ma, soprattutto, modelli: che rivelano l’identità del nostro popolo, la sua vocazione, il suo vero volto. Il “patronato” dei Santi, infatti, nell’ottica della fede, non è casuale: rappresenta, piuttosto, una consegna a prolungare, nello spazio e nel tempo, di generazione in generazione, i tratti salienti della loro fisionomia spirituale.

San Gottardo (+ 1038) è monaco e vescovo; san Vittore (sec. III), come Sebastiano, Maurizio, Nabore e Felice, ha militato nelle file dell’esercito romano, da cristiano laico, quindi. Il primo è campione della fedeltà al martirio incruento dell’ascesi e della carità pastorale; il secondo ha effuso realmente il proprio sangue fra torture atroci, martire dell’obiezione di coscienza, per non rinnegare l’unico Sovrano degno di essere sempre obbedito e anche adorato.

Verrebbe da pensare che due Patroni così diversi e storicamente distanti tra loro possano garantire alla discrezione di ciascun Calcese la scelta di un’eventuale devozione preferenziale o, perfino, di una identificazione esclusiva. A me sembra, piuttosto, che entrambi ci richiamino a comporre armonicamente, in una sorta di comune regola di vita, i caratteri dell’uno e dell’altro: la radicalità della sequela del Signore per annunciare da testimoni, più che da maestri, il Vangelo… unita allo stile “militante” dell’appartenenza alla compagnìa dei discepoli, armati solo “con lo scudo della fede… l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito che è la parola di Dio” (Ef. 6, 16 – 17).

I Patroni, infatti, sono il punto di riferimento per tutti, il primissimo e fondamentale piano pastorale; sono la “forma” concreta attraverso la quale il Padre ci chiede di incarnare, qui e adesso, l’adesione al Figlio. Sono gli amici, i compagni di viaggio che ci precedono, incoraggiandoci a tenere il passo e a non perdere la direzione, a non lasciarci ingolosire dalle scorciatoie nè distrarre da rischiosi percorsi alternativi. Sono il vessillo attorno al quale ci riconosciamo più uniti e solidali, eredi dello stesso patrimonio di fede e di opere.

Insomma: è così importante non perdere di vista i Patroni che quando, per disgrazia, la loro figura sfuma sullo sfondo della nostra cultura collettiva, finiamo inesorabilmente per sostituirli con qualche altro “padrone”. Non mi riferisco solo a certi “protettori” nazionali e globali adulati ed invocati anche da noi cristiani per “patrocinare” e “benedire” i nostri svariati interessi, e non solo i più nobili; penso, piuttosto, all’esercizio di un “padronato” più elegante e garbato, che, sollevandoci dall’incomodo di dover “pensare” autonomamente, ci offre un’inebriante sensazione di libertà: in cambio, ovviamente, del devoto ossequio ai dogmi di quello che papa Francesco chiamava il “paradigma tecnocratico” del possesso, del dominio, dell’imposizione e della manipolazione (Laudato sì, n. 106) e al culto idolatrico del profitto.

Talvolta, perfino, con la strumentale complicità di quei “simboli religiosi” di cui, i nuovi “patroni-padroni”, amano fregiarsi come di un “marchio di garanzia”, anche se poi anestetizzano in noi l’intelligenza della fede non meno del discernimento evangelico: ricompensando il nostro spontaneo e disinvolto “delegare” con l’indizione di qualche “crociata” contro il degrado civile e morale provocato, anche tra l’italica gente, dall’invasione dei “nuovi barbari”.

Ma il bavarese vescovo Gottardo, pastore accorto e vigilante, e il soldato Vittore, lui stesso approdato nelle terre di Lombardia da oltremare (Mauritania – Africa), ci invitano a non lasciarci intruppare, ad aborrire, anzi, qualsiasi atteggiamento “gregario” ovvero “da pecore”. Lo sguardo austero riprodotto dalla statua del san Gottardo che custodiamo nella chiesa arcipretale di Calcio sembra ammonirci severamente contro ogni espressione di “arrogante supponenza” verso i “deboli” da cui ci sentiamo assediati, e di “vile sudditanza” verso i “forti” che temiamo e invidiamo. Il simulacro del nostro san Vittore, il cui elmo è deposto a terra in segno di disarmo, sembra ricordarci che – come direbbe don Lorenzo Milani – quando la legge dello Stato contrasta con la coscienza personale, “l’obbedienza non è più una virtù”.

Ultimo aggiornamento: 3 Maggio 2025