LA PAROLA AL PARROCO, 12 ottobre 2025

PROCESSI… A DON ROBERTO

Qualche settimana fa è ricorso il quinto anniversario della tragica morte di don Roberto Malgesini, il “prete di strada” accoltellato a Como (+ 15 settembre 2020) da uno dei clochard stranieri cui offriva, di primo mattino, una bevanda calda e la sua cordialità. Ho diversi amici sacerdoti a Como, già compagni di studio a Roma, ma non conoscevo personalmente don Roberto: la memoria del suo assassinio, tuttavia, ancora mi sconvolge… e nello stesso tempo mi inorgoglisce. Un prete che “perde la vita” per la gente che ama, ancorchè colpito vigliaccamente proprio dal destinatario della sua carità, è un grande guadagno per la Chiesa e rappresenta per noi suoi confratelli, un modello… anzi, un segno dei tempi. Di quelli attraverso i quali ci è dato intuire come dovremmo essere disposti a morire noi “pastori d’anime”.

Al proposito trovo una certa affinità – fatte le debite distinzioni e considerate le differenti condizioni storiche – tra il “caso” di don Roberto e la sorte dei trecento sacerdoti italiani condannati a morte dai tribunali militari o dai “giudici del popolo” nei cosiddetti “anni della caligine” durante la Seconda Guerra Mondiale: al loro sacrificio rende ossequio don Primo Mazzolari attraverso le stazioni di una Via Crucis, stampata e pubblicata nel 1958, a poco più di un decennio dalla conclusione del conflitto, con il titolo emblematico “I preti sanno morire”. Osserva don Primo:

«Mutano i tempi e le stagioni della politica: portano nomi diversi, promesse e delusioni eguali. Oggi è la dittatura, domani la resistenza; oggi la rivoluzione, domani la reazione. Vengono gli uomini d’oriente o d’occidente, i cosacchi o i prussiani, i mongoli o le brigate nere, i fascisti o i comunisti, i marocchini o le SS naziste… fa lo stesso: presto o tardi il sacerdote è chiamato in giudizio».

Don Roberto non è stato condannato da un tribunale: ma la sua fine drammatica, evangelicamente martiriale, è senza dubbio un “segno di contraddizione”. E, nonostante egli fosse la vittima, è finito immediatamente sotto processo, sul banco degli imputati. Qualcuno si è arrogato il diritto di giudicarlo: “Se l’è andata a cercare!”. Offendendo, in questo modo, l’uomo e il cristiano, oltre che il prete. Che nei poveri serviva e onorava il suo Signore: secondo il quale si può amare… fino a morirne. Don Roberto era già stato “processato” nei sussurri dei suoi concittadini e fratelli di fede, che lo accusavano di essere un “fuori legge” e di infrangere le “regole”: soccorreva stranieri senza permesso di soggiorno, infatti, e anche le autorità comunali lo avevano ammonito e multato. Ma il sangue di don Roberto, a distanza di cinque anni, non impreca né maledice: anzi, è una benedizione per tutti. E’ stato mescolato al sangue dell’Agnello immolato e partecipa della sua forza di purificazione oltre che della sua straordinaria fecondità. Il prete di strada è stato colpito violentemente venticinque volte. Ma l’ultima coltellata, la più intollerabile e abietta di tutte, è quella inferta sul suo cadavere di “martire della carità” da coloro che hanno sfruttato il suo sangue per scopi biecamente politici e palesemente in contrasto con la sua scelta, il suo stile, il suo progetto di vita… e il Vangelo che annunciava. In questo modo don Roberto è stato ucciso due volte.

Un prete di strada, alla ricerca dei “crocifissi” della sua città, percorre vie dalle quali non passano né giornalisti né fotografi: e fa notizia solo quando viene inchiodato, lui stesso, alla croce… da eroe o, semplicemente, da incosciente. O addirittura da colpevole: è sempre in voga, infatti, l’arte di trattare l’innocente come fosse una canaglia:

«Un sacerdote è sempre sotto giudizio – annota Mazzolari nella sua Via Crucis – anche quando non è chiamato in giudizio… Il giudizio degli uomini non è mai benigno nei nostri confronti: è bene che non lo sia, benchè nessuno abbia sete di misericordia quanto un prete».

Già: la misericordia. Non so se don Roberto fosse un santo: forse era semplicemente un “vero” sacerdote, generoso e buono, con il suo carico di ordinaria fragilità, ma deciso a rischiare di persona per non tradire la sua coscienza e la sua vocazione. Una cosa è certa: «Il battesimo di sangue lava ogni umana debolezza e restituisce il candore ad ogni stola» (Mazzolari).

Qualche settimana fa, però, nel quinto anniversario della sua “nascita al Cielo”, il vescovo di Como, card. Oscar Cantoni, ha annunciato l’introduzione del processo per la causa di beatificazione di don Roberto. E domenica scorsa, 5 ottobre, nell’omelìa della Messa per il “Giubileo dei missionari e dei migranti” papa Leone ha indirettamente “benedetto” l’opera di don Malgesini: «Fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione… E ai migranti dico: siate sempre i benvenuti!».

Ma fin dal giorno successivo all’assassinio, il 16 settembre 2020, al termine dell’Udienza Generale del mercoledì, papa Francesco aveva onorato il sacrificio del sacerdote comasco: «Rendo lode a Dio per la testimonianza di don Roberto Malgesini, cioè per il martirio di questo testimone della carità verso i più poveri».

Caro don Roberto, grazie!

Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre 2025