LA PAROLA AL PARROCO, 19 ottobre 2025

I’M NOT CHARLIE KIRK!

La parola “martire”, etimologicamente, deriva dal greco antico, appartiene al linguaggio forense e si riferisce al “testimone che depone in un processo”. Nulla di più. Non esiste neppure nella Sacra Scrittura (nell’Antico e nel Nuovo Testamento) l’uso del termine nel significato che gli attribuiamo oggi. Solo verso il 160 dell’era cristiana, ovvero dopo la morte violenta di san Policarpo, vescovo di Smirne, viene introdotto l’appellativo di “martire” nella letteratura patristica per indicare il “testimone della fede che effonde il suo sangue per il nome di Cristo”. Dunque, il contenuto del “martirio” proviene, in modo originario e originale, dal Cristianesimo. In seguito, e per estensione, il vocabolo è diventato sinonimo di qualsiasi sofferenza o sacrificio subìti in ragione delle proprie convinzioni o di irrinunciabili valori morali.

Quando, il 7 gennaio 2015, la sede del settimanale satirico parigino “Charlie hebdo” – colpevole di aver pubblicato vignette gravemente offensive del profeta Maometto – subì l’attentato terroristico jihadista nel quale rimasero uccise 12 persone tra giornalisti e frequentatori del luogo, un ampio fronte dell’opinione pubblica francese e mondiale manifestò la propria solidarietà alle vittime e al giornale indossando magliette o esibendo bandiere e striscioni con la scritta a caratteri cubitali: “Je suis Charlie” (Io sono Charlie). Il settimanale e i suoi vignettisti vennero celebrati come “martiri della libertà”. Una “promozione” che – nonostante considerassi assolutamente esecrabile e ingiustificabile la strage, perpetrata da criminali assassini – non ho condiviso e che, per quanto fosse irrilevante il mio parere, ho anche pubblicamente contestato: quando la “satira” irride le ragioni della fede altrui in modo blasfemo e dissacrante, infatti, non è più esercizio del “diritto di critica” ma prepotenza più “oscurantista” della censura istituzionalizzata. No, non meritavano il titolo onorifico di “martiri”, e men che meno di “martiri della libertà”, i giornalisti di “Charlie hebdo”. E quindi mi sono dissociato dal movimento degli indignati che manifestavano la loro solidarietà al grido di: “Je suis Charlie”. Anzi, nonostante il mio giudizio “contasse meno del due di picche”, sentii il bisogno di esprimere esplicitamente – e non senza conseguenze, a dire il vero – che “Je ne suis pas Charlie!”: Io non sono Charlie!

Qualche tempo fa un’associazione nazionale con la quale ho condiviso alcune iniziative in difesa della vita nascente (come l’incontro organizzato a Soresina il 16 marzo 2017 con Gianna Jessen, la donna americana sopravvissuta “miracolosamente” al tentativo di aborto salino che avrebbe dovuto bruciarla nel grembo materno) mi ha invitato a sottoscrivere una sorta di petizione-manifesto (“Io sono Charlie Kirk!”) – e quindi a “schierarmi” – per la causa del giovane attivista statunitense assassinato il 10 settembre scorso durante un evento pubblico all’Università di Utah. Kirk – cui il presidente Donald Trump, immediatamente dopo l’omicidio, ha attribuito la qualifica di “martire” – è stato uno strenuo e audace promotore dei “valori non-negoziabili”: il rispetto assoluto dei nascituri, e quindi l’opposizione alla procreazione medicalmente assistita e alla “maternità surrogata”, il ruolo insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, il diritto dei genitori alla libertà educativa per i figli… Mi risulta, tuttavia – e purtroppo – che abbia patrocinato anche istanze xenofobe e discriminatorie in ragione della razza, del genere, della fede; che abbia vagheggiato una sorta di “nazionalismo religioso” in risposta alla secolarizzazione imperante e al rischio di “sostituzione etnica”; che abbia sostenuto la campagna per la libera circolazione delle armi da fuoco, di cui sono attualmente in possesso centosette milioni di americani, e per le cui sparatorie cadono, ogni anno, quarantamila vittime… Insomma, nonostante io condanni categoricamente l’assassinio di Charlie, e benchè condivida la sua appassionata battaglia per la “cultura della vita”, non ho risposto e non risponderò all’appello: “Io sono Charlie Kirk!”. Non metto in dubbio l’onestà intellettuale del giovane credente Kirk nè il suo coraggio di cristiano fervente, ma il “martirio per la verità e la fede” è un’altra cosa!

Il riconoscimento della “dignità infinita” di ogni essere umano – come la definiva san Giovanni Paolo II e come l’ha instancabilmente rivendicata papa Francesco per “tutti-tutti” e nonostante tutto – non ammette eccezioni. No, I’m not Charlie! Io non sono Charlie!

Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre 2025